Si parla tanto oggi di quanto siamo di fronte ad una svolta epocale nella storia dell’umanità. Viviamo in un’era tecnologica, nuova ed in continuo movimento, in cui dati e macchine sono già (e diventeranno sempre più) punti fondamentali del tessuto delle nostre società, rivoluzionandone le regole sociali, economiche e politiche in maniera decisa.

Per non perdere l’equilibrio rischiando di cadere nel caos degli eventi senza riuscire a gestirli perché impreparati di fronte al cambiamento, è fondamentale imparare a conoscere le innovazioni tecnologiche, il loro potenziale, ma anche le criticità che sottendono. Solo in questo modo sarà possibile costruirsi un pensiero critico e consapevole che ci tuteli, ci permetta di scegliere e di comprendere i cambiamenti in atto nei quali è importante sentirsi coinvolti anziché travolti.

La stampa 3D e la democratizzazione dei processi

Tra le tecnologie che stiamo vedendo svilupparsi negli ultimi anni ce n’è una che potrebbe democratizzare i processi produttivi, cambiando radicalmente le regole dell’economia come le conosciamo: si tratta della produzione digitale derivata dalla stampa 3D e in generale dai processi di digital fabrication.

Nata a metà degli anni Quaranta del Novecento, con la teorizzazione del costruttore universale – a cura del matematico John von Neumann e sviluppata molti decenni dopo da Adrian Bowyer quando, ispirandosi a questa teoria, mise a punto la RepRap-  la fabbricazione additiva ha  registrato nel corso degli anni uno sviluppo fortissimo, con la formazione di community di appassionati che iniziarono a praticarla a partire dalla macchina di Bowyer, e infine grazie alla realizzazione di stampanti 3D oggi molto diffuse sul mercato.

Ma tornando alla democratizzazione dei processi: questo è il punto fondamentale e potenzialmente rivoluzionario di queste tecnologie. Un’implementazione su larga scala della produzione digitale non solo cambierebbe i paradigmi su cui si fonda il capitalismo come lo conosciamo oggi, ma il tessuto stesso del mercato odierno, di fatto rendendo obsoleto il concetto di scarsità delle risorse sul quale si è sempre basata ogni nostra azione.

Il modello di produzione digitale in cui la stampa 3D si innesta e che teorici e entusiasti professano ha alcune caratteristiche che lo rendono interessante:

  • è distribuito, ossia disponibile localmente potenzialmente ovunque;
  • è on-demand, ossia la produzione può essere attivata quando ve n’è necessità;
  • è possibile produrre anche pochi pezzi o uno solo perché il costo è sempre lo stesso;
  • è utilizzabile per vari materiali indistintamente;
  • è circolare, ossia può riutilizzare gli scarti di lavorazione e il prodotto stesso una volta finito l’utilizzo;
  • è low cost, così che ognuno possa avervi accesso.

Solo alcune di queste caratteristiche, tuttavia, incidono oggi sulla produzione digitale in maniera significativa, mentre altre sono in fase di approfondimento.

Il problema del “locale”

Per esempio, la disponibilità locale è ancora un problema, dato che per produrre oggetti anche piuttosto semplici servono macchinari decisamente complessi e in numero elevato. Per questo sono stati creati luoghi come i Fab Lab, dove sono raccolte le macchine a livello locale per permetterne a chiunque l’utilizzo.

Gli scarti

Inoltre, se molto è stato fatto per far sì che la produzione digitale fosse sin da subito il più ecologica possibile grazie all’impiego di plastica con bassa impronta di CO2, biodegradabile e rinnovabile, comunque esiste il problema degli scarti e delle lavorazioni delle materie prime. E poiché la produzione è iterativa, può essere ripetuta un pezzo alla volta, le variabili possono essere talmente tante da rendere il mancato utilizzo degli scarti un grosso problema.

La proprietà intellettuale

A questi due problemi se ne aggiunge un terzo legato alla proprietà intellettuale dei progetti, che oggi iniziano a essere privatizzati e a diventare sempre più esclusivi e proprietà di aziende in netta contro tendenza rispetto alla filosofia con cui la prima RepRap fu realizzata. Un domani questo potrebbe far sorgere problemi pratici e legali per chi voglia utilizzare liberamente progetti della comunità rendendolo possibile  solo previo pagamento.

A questi due problemi se ne aggiunge un terzo legato alla proprietà intellettuale dei progetti, che oggi iniziano a essere privatizzati e a diventare sempre più esclusivi e di appartenenza di aziende, in netta controtendenza rispetto alla filosofia con cui la prima RepRap fu realizzata. Quali potrebbero essere le conseguenze di questa privatizzazione? É presto detto: un domani questo potrebbero sorgere problemi pratici e legali con chi voglia utilizzare liberamente progetti della comunità ma potrà farlo solo previo pagamento, avendo di fatto gli strumenti ma non avendo libero accesso alla produzione vera e propria.

Una possibile soluzione: fab lab e repair cafè

Uno degli effetti collaterali positivi di questa tecnologia, non immaginato nell’idealizzazione di una produzione completamente orizzontale, è invece da ricercarsi in ciò che in alcuni Fab Lab è già stato messo in pratica, ossia l’uso delle stampanti 3D per aggiustare e rinnovare oggetti già posseduti.

La seconda vita di un oggetto o la pratica portata avanti nei repair cafè, luoghi dove competenze di alcune persone sono messe in campo per aiutare altre persone nel riparare un oggetto, fanno larghissimo uso di tecnologie digitali per produrre ad-hoc parti o pezzi difficilmente reperibili o con costi esorbitanti.

I pro della produzione digitale

In conclusione, moltissimi sono gli aspetti positivi che riguardano la produzione digitale:

  • sta facendo passi da gigante proponendo soluzioni tecnologiche nuove e sempre più performanti;
  • nello stesso tempo la ricerca di materiali adatti ai nuovi tools digitali si spinge sempre più su soluzioni eco compatibili e con prestazioni maggiori;
  • la velocità con cui queste soluzioni tecnologiche si avvicendano fa immaginare un cambio di paradigma delle logiche produttive sempre più imminente.

Invece, l’altro lato della medaglia ci racconta come sia molto più lenta, e in là da venire, l’adozione di queste tecnologie su larga scala e con logiche nuove (sostenibili ed ecologiche).

Atelier di Artigianato Digitale. Image © Medaarch

L’innesto della produzione digitale nel comparto manifatturiero italiano: cosa manca

La grande maggioranza del tessuto manifatturiero italiano ad esempio, non ha ancora nemmeno sperimentato l’adozione di queste tecnologie all’interno del proprio processo. Forse ne ha sentito molto parlare, magari ha visto alcune delle soluzioni additive in azione, ma non ha avuto ancora il coraggio di abbracciarne la filosofia e i rischi. Poiché, certamente di rischio si tratta.
Infatti l’uso standardizzato di tecnologie digitali all’interno della realtà manifatturiera italiana non è di facilissimo innesto e sicuramente non indolore.

Il prezzo più alto da pagare non è direttamente legato ad una disponibilità economica (qui agevolazioni e incentivi non mancano), ma ad un fattore ben più scarso e cruciale: il tempo.

Il solo acquisto della tecnologia non risolve i problemi di produzione, né rende di per sé più competitiva un’azienda. La soluzione tecnologica dovrebbe essere legata a molteplici fattori esogeni ed endogeni della realtà produttiva.

  • Esogeni come le condizioni del mercato in cui opera, la concorrenza, i nuovi scenari produttivi la futura tendenza della domanda, le possibilità di filiera, etc.
  • Endogeni, come le competenze e le risorse umane di cui l’azienda dispone, la storia aziendale, l’organizzazione di spazi e processi, i costi di riorganizzazione della linea di produzione, per citare solo i più importanti.

Tutti questi fattori dovrebbero essere ponderati prima dell’acquisto della tecnologia, magari avendo tempo per provarne i vantaggi che veramente essa può offrire all’azienda, cercando di capirne i limiti, di identificarne un utilizzo in linea con principi eco sostenibili e innovativi.

Image © Medaarch

Una volta portata la tecnologia in azienda la si deve far lavorare all’interno della linea di produzione e qui sicuramente utili sono le competenze tecnico-specialistiche di professionisti ai quali l’azienda non può rinunciare per ottimizzare e rendere davvero utile il suo investimento.
Ben più difficile è il posizionamento della stessa tecnologia all’interno delle conoscenze aziendali, affinché questa possa essere sfruttata per le vere potenzialità che offre.

Il problema della difficoltà di utilizzo che le soluzioni digitali scontano all’interno di realtà aziendali nuove a questo tipo di tecnologie è dovuto, in parte, ad una mancanza di personale con conoscenze tecnologiche adatte e, in larga misura, alla forte scarsità di figure progettuali che utilizzano tale strumento per produrre quel cambiamento paradigmatico di cui sono portatrici.

Image © Medaarch

Come agevolare la trasformazione digitale delle pmi italiane?

In altre parole, bisognerà formare il personale aziendale a pensare la realtà in cui lavorano, in termini nuovi e differenti non tradendone però la storia e le peculiarità. Anzi è proprio partendo dall’identità dell’azienda che la tecnologia digitale dovrebbe essere utilizzata da questi designer (nella meta accezione di questo termine) per valorizzarne i caratteri unici, identificativi, che la rendono quel che è, ma in una versione adatta al tempo in cui opera.

Tutto questo ha bisogno di tempo. Più che di nuove tecnologie sempre più performanti, avremmo bisogno di tempo da dare alle nostre PMI per capire, sperimentare, innestare, testare, inventare, prototipare. D’altronde, se ci pensiamo, è così che l’asset produttivo delle piccole e medie imprese italiane si è realizzato: con il tempo. Con le conoscenze sedimentate, tramandate, valorizzate di generazione in generazione.

Dal nostro workshop Smart Surface presso Tekla srl. Image © Medaarch

Oggi purtroppo questa dimensione preziosa dell’avere tempo per innovarsi e per crescere sembra essersi persa, soprattutto per le nostre piccole e medie aziende, indaffarate nel quotidiano, impelagate nella burocrazia e in trincea contro una crisi economica senza precedenti.

E allora come si fa ad agevolare quella transizione verso la stampa additiva e, in generale, verso il digitale e la sostenibilità? In che modo sarà possibile seguire le opportunità di innovazione cui tanto si parla e che vedono ben due ministeri nell’attuale governo?
Se il fattore tempo è intrecciato con quello delle competenze, come sciogliere questo nodo?
Siamo così sicuri che le aziende non siano disposte ad investire in tecnologie nuove, anche senza aiuti di Stato? Siamo così sicuri che l’inerzia delle nostre PMI non risieda in una ragionevole diffidenza del sistema (dovuta alla mancanza di tempo per testare, progettare, innovare; e alla difficoltà di investire in risorse umane in uno scenario lavorativo così incerto e penalizzante)?

Una delle possibili strade da battere potrebbe essere quella legata alle innovazioni di metodo. Ovvero forma, prassi e sostanza di tutte quelle forme di finanza agevolata e di bandi a supporto del comparto produttivo Italiano. Un metodo molto vicino a strumenti messi in campo da MISE in questi anni (in special modo, quelli dedicati alla ricerca e sviluppo) ma con tagli e criteri nuovi.

Strumenti pensati anche per le micro e piccole imprese, con investimenti più forti nella parte di scouting e formazione, con programmi di avvicinamento e conoscenza dedicati alle aziende che le accompagnino fino all’applicazione ai bandi. Con un coordinamento forte e indispensabile rispetto ai programmi di altri enti come Regioni, Camere di Commercio, Europa. Con agevolazioni vere e durature per chi assume, per chi decide di investire in formazione del proprio personale. Con programmi che spingano la formazione di figure professionali capaci di traghettare la transizione.

In conclusione, ciò che manca davvero affinché queste tecnologie abbiano veramente un impatto, è il pensiero di come questo impatto deve attuarsi.
Mi auguro che questo pensiero possa presto prendere forma, ed essere audace, ampio e preciso.

Dal nostro workshop Smart Surface presso Tekla srl. Image © Medaarch